Onorevoli Colleghi! - Le ragioni che condussero il Parlamento all'approvazione della legge 31 luglio 2006, n. 241, relativa alla concessione dell'indulto, che ha indotto uno sconto di pena di tre anni per i reati commessi fino al 2 maggio 2006, sono note e rappresentano tuttora occasione di intenso confronto in sede politica e nella pubblica opinione.
      Essenzialmente le ragioni a sostegno del provvedimento d'indulto sono sintetizzabili nella considerazione dell'insostenibilità del sovraffollamento nelle carceri italiane, all'epoca 66.000 detenuti a fronte di una capienza che sfiorava a stento i 42.000 posti. Tale situazione creava oggettivamente un doloroso contrasto tra la realtà effettuale e la norma costituzionale che, all'articolo 27, afferma la duplice peculiarità della pena, volta alla rieducazione del condannato e coerente con i princìpi di umanità. Entrambi i connotati costituzionali della pena, pertanto, venivano clamorosamente negati dalla condizione di cattività in cui i detenuti erano costretti a portare la loro esperienza penitenziaria e questa circostanza, particolarmente pregna di ragioni umanitarie, ebbe a prevalere sulle altre presenti nel dibattito parlamentare e relative alla certezza della pena e alla pericolosità sociale dei detenuti beneficiari dello sconto. Quale che possa essere l'opinione sull'indulto, resta fermo un ragionamento: esso si tramuta in un effimero e, perciò stesso, dannoso provvedimento di clemenza se non è accompagnato da due interventi strategici. Il primo intervento è volto a edificare nuove e moderne carceri al fine di ovviare all'incresciosa difficoltà legata al sovraffollamento, cui rischiamo pericolosamente di avviarci tra breve per ammissione stessa del Ministro della giustizia. Il secondo intervento attiene ai profili legati al reinserimento dell'ex detenuto nella società, attraverso il riconoscimento della più nobile dignità che può essere riconosciuta a un essere umano, anche alla

 

Pag. 2

stregua dell'articolo 1 della Costituzione: la dignità del lavoro.
      La presente proposta di legge cerca di dare risposta a questa ulteriore fondamentale istanza prevedendo, con un articolato scarno ed essenziale, che le imprese appaltatrici di opere pubbliche inseriscano, per la durata del lavoro, tra le proprie maestranze almeno il 10 per cento di ex detenuti.
      L'articolo 2 della proposta di legge prevede che anche altri operatori, pubblici e privati ancorché non appaltatori di opere pubbliche, possono operare con le medesime modalità usufruendo, in questo caso, di un apposito contributo.
      Si tratta, pertanto, di una proposta di legge che cerca di esercitare un intervento di minima coerenza con le scelte compiute nel 2006 dal Parlamento: senza adeguati interventi di attuazione sui princìpi contenuti nell'articolo 27 della Costituzione l'indulto sarebbe del tutto inutile.
 

Pag. 3